Slow Food scende nell’arena della moda con il progetto Slow Fiber

La ‘sfida’ al fast fashion, ai processi produttivi e all’ottica della moda ‘usa e getta, già in discussione in Europa, arriva anche in Italia e si traduce in una iniziativa privata. Nell’ottica di una moda più green, etica e sostenibile è nata Slow Fiber, una rete frutto dell’incontro tra Slow Food, ormai storico presidio nel settore agroalimentare, e alcune aziende virtuose della filiera del tessile, che – come riporta il suo manifesto – “vogliono rappresentare il cambiamento positivo attraverso un processo produttivo sostenibile, volto alla creazione di prodotti belli, sani, puliti, giusti e durevoli, perché rispettosi della dignità dell’Uomo e della Natura nel suo delicato equilibrio”.

Come spiega Dario Casalini, fondatore di Slow Fiber: “Negli ultimi decenni il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello. Capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. L’idea è invece quella di recuperare un concetto di bellezza che abbia anche dei valori etici perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto e quindi prendere in considerazione tutto il sistema”.

Infatti, secondo il report della Commissione Europea dal titolo “Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europe’s circular economy”, la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad aumentare, così come il loro impatto sul clima, sul consumo di acqua e di energia e sull’ambiente. La produzione mondiale di questi prodotti è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e il consumo di capi di abbigliamento dovrebbe aumentare del 63 % entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea il consumo di prodotti tessili rappresenta attualmente in media il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l’uso dell’acqua e del suolo dalla prospettiva globale del ciclo di vita. Ogni anno nell’UE vengono buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ogni europeo acquista ventisei chili di vestiti all’anno e ne butta via undici dopo averli indossati appena 7-8 volte mentre solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato.

Da qui la necessità, per Slow Fiber, di ripensare la moda e il mondo del tessile in un’ottica di sostenibilità. Le aziende fondatrici della rete Slow Fiber ad oggi sono: Oscalito 1936, L’Opificio Serico, Manifattura Tessile di Nole, Maglificio Maggia, Pettinatura di Verrone, Lane Cardate, Quagliotti, Tintoria 2000, Tintoria Felli, Olcese Ferrari, Italfil, Remmert, Pattern, Holding Moda, F.lli Piacenza, Angelo Vasino.

Queste aziende si sono autoregolamentate attraverso un manifesto insieme alla creazione di specifici requisiti, KPI qualitativi che quantitativi e una tassonomia propria a marchio Slow Fiber costruita sulla base degli indicatori globali di eticità, sostenibilità e responsabilità sociale (ESG, SDGs e GRI). Questa autovalutazione ha una doppia funzione: allineare tutte le aziende del network a intraprendere o a rafforzare i propri percorsi di sostenibilità e a supportare i nuovi aderenti nella realizzazione di percorsi chiari, trasparenti, misurabili.

Ma il proposito di Slow Fiber è anche quello di ampliare il network, coinvolgendo e invitando aziende italiane e internazionali a unirsi alla rete per ampliare la portata dell’impatto di questo cambiamento.

A livello comunitario, nei giorni scorsi la commissione ambiente del Parlamento europeo ha approvato una raccomandazione “per una produzione circolare e sostenibile dei tessuti” nella quale si chiede l’introduzione di un divieto esplicito alla distruzione di prodotti di abbigliamento e calzature invenduti. Le case di moda saranno quindi obbligate a tenere in commercio le vecchie linee, mettendo fine alla pratica di incenerire i fondi di magazzino per favorire la vendita nelle nuove collezioni. Gli eurodeputati chiedono inoltre l’introduzione di un passaporto elettronico per le merci, che renderà disponibili a tutti i consumatori informazioni dettagliate sul ciclo produttivo dei capi, dando la possibilità di sapere se ciò che ci apprestiamo a comprare rispetta i criteri di sostenibilità.

Fonte: pambianconews.com 

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