Pane, latte, zucchero e farina così cambia il carrello degli italiani

E’ ancora molto difficile capire quale sia l’impatto sui nostri consumi da parte del Coronavirus. Lo hanno detto e ripetuto, in più occasioni, in questi giorni, i responsabili delle più importanti insegne della Gdo (la Grande distribuzione organizzata) che, con i loro 30.841 punti vendita (iper e supermercati, discount e negozi di prossimità) e circa 300 mila addetti complessivi, rappresentano il vero termometro del “sentiment” degli italiani.

Quarantene forzate.
Al momento, quello che sappiano è che all’inizio della crisi, coinciso con il primo lockdown delle attività commerciali, inasprito successivamente con misure sempre più restrittive da parte del governo, c’è stata una improvvisa impennata dei consumi. Poi, rientrata in parte. Le rilevazioni delle insegne della Gdo e degli istituti di ricerca ci dicono che l’andamento è oggi altalenante nei negozi. Lo è meno invece quello delle vendite online che hanno subito nelle ultime settimane un’impennata imprevedibile per effetto di quarantene forzate e smart working obbligato che costringono le persone a condurre una vita più casalinga. Una mole di ordini difficile da gestire per chi opera nel settore, in primis per le insegne della Gdo, buona parte delle quali si è trovata impreparata a fronteggiare una situazione che fino ad oggi si è verificata solo in giorni precisi e prestabiliti come il Cyber Monday o il Black Friday.

Prodotti di prima necessità.
I dati che abbiamo a disposizione però ci confermano un trend: ovvero, che in questi giorni di profonda incertezza per il nostro futuro economico e occupazionale almeno sta diminuendo la paura di non trovare nei negozi i prodotti di cui si ha bisogno. Un altro dato, ormai assodato, riguarda anche la tipologia dei consumi che gli italiani, ai tempi del Covid-19, mettono nel carrello o ordinano online. Sono soprattutto prodotti di prima necessità (pane, latte, farina, zucchero, carne, latte a lunga conservazione), prodotti per l’igiene personale, disinfettanti, acqua e surgelati. Tra le categorie che resistono, dopo un esilio durato a lungo, ci sono i libri che tornano ad essere un bene “necessario” per un numero crescente di persone.

Acquisti “compulsivi”.
Curioso poi notare che le strategie di acquisto dei consumatori sono cambiate. Le ultime rilevazioni — monitorate da Nielsen, Iri e GfK — parlano di un’inversione di tendenza: dopo la prima settimana di acquisti “compulsivi” ma poco organizzati, e una seconda caratterizzata da un incremento della frequenza, durante la prima settimana di lockdown e in quelle successive gli italiani sembrano aver elaborato nuovi approcci. Intanto, l’importo medio della spesa cresce in media del 26% e si fanno acquisiti più attenti e oculati per evitare di tornare spesso in negozio. Praticamente, si annullano le differenze tra giorni infrasettimanali e sabato (solitamente il più importante per la spesa) e cresce — come detto — la penetrazione online (+16%).

Nuove abitudini di consumo.
«A questo punto, sarà interessante capire quali saranno gli effetti post-trauma da Coronavirus sui consumatori italiani. Perché è evidente che ci saranno a causa dell’isolamento forzato tra le mura domestiche. Alla fine della quarantena, questi effetti verranno a galla e sfoceranno in nuove abitudini di consumo, nuove paure, nuovi stili di vita e desideri inespressi. Cambieranno di riflesso i rapporti tra clienti, insegne della Gdo e aziende del largo consumo» avverte Marco Cuppini, direttore del Centro Studi di Gs1 Italy, l’associazione senza scopo di lucro che riunisce 35 mila imprese di beni di consumo con l’obiettivo di facilitare il dialogo e la collaborazione tra aziende, associazioni e istituzioni. Utilizzando il codice a barre GS1 per identificare i prodotti e attraverso l’incrocio delle informazioni di etichetta con i dati Nielsen, l’Osservatorio Immagino — il servizio web di GS1 Italy — consente di misurare fenomeni di consumo emergenti e identificare i segmenti di popolazione che li determinano. «Quello che sta accadendo sul canale e-commerce in queste settimane non può essere sottovalutato dalle catene distributive, che giocoforza dovranno tenerne conto investendoci molto di più rispetto a prima. Poi un’altra partita, ancora tutta da giocare, riguarda quella del catalogo digitale» aggiunge Cuppini.

Indice di preoccupazione.
Intanto, secondo l’ultima rilevazione effettuata da Nielsen (18-19 marzo), la percentuale di coloro che si dicono “preoccupati” o “molto preoccupati” è schizzata verso l’alto toccando quota 67%, nove punti percentuali in più rispetto a sette giorni prima. Il progresso maggiore ha riguardato la fascia più estrema, i “molto preoccupati”, che sono passati dal 18% al 24%. La dinamica più rilevante è però la diffusione della paura al Centro e al Sud dove, in un primo momento, l’esiguo numero dei malati aveva limitato i timori. «La crescita maggiore si registra al Centro (71%, in crescita di +14%) che, insieme al Sud (69%, +5%), risulta l’area più in apprensione — osservano gli esperti di Nielsen su OsservaItalia.it — A livello regionale, è la Puglia la regione più preoccupata (78%, +15%), mentre la Campania scivola in quinta posizione (67%), preceduta da Toscana, Veneto e Lazio. Nonostante la percentuale di vittime sia maggiore tra gli uomini, le donne (75%, +11%) si confermano le più preoccupate».

Pessimisti in aumento.
Stefano Cini
, marketing analytics director di Nielsen Global Connect in Italia, sempre su OsservaItalia.it, sottolinea: «Con i contagi continua a crescere il livello di preoccupazione degli italiani, che arriva al 67% (+9% rispetto la scorsa settimana e +50% dall’inizio del contagio). Gli italiani chiedono più rigore in Italia e all’estero. Il 35% ritiene infatti i provvedimenti presi dalle nostre Istituzioni ancora blandi». Aumenta anche il numero di pessimisti che vedono allontanarsi la fine dell’emergenza. Adesso solo il 23% degli intervistati (-14%) si attendono un recupero entro le quattro settimane e per tre italiani su quattro bisognerà attendere almeno un mese. In particolare, il 31% (+9%) degli intervistati è convinto che l’epidemia durerà fra i due e i quattro mesi, mentre il 17% (+8%) ritiene che serviranno più di cinque mesi.

Scorte alimentari.
Sono diminuite le visite ai supermercati: il 58% (+18%) ha dichiarato di recarsi meno nei punti vendita, compensando questo comportamento con una maggiore propensione a fare scorte di generi alimentari (41%, +13%). Dalla rilevazione di Nielsen emerge inoltre che gli italiani, dopo la forte richiesta di notizie iniziale, stanno adottando un approccio meno compulsivo. La quasi totalità (97%) continua infatti ad informarsi almeno una volta al giorno per tenersi aggiornato ma cala la percentuale di coloro che lo fanno più volte al giorno (81%, — 5%) e cresce invece quella che di chi si sintonizza sulle notizie solo una volta al giorno (+16% +5%). I notiziari e i programmi televisivi restano il principale veicolo di informazione (79%, — 1%), seguiti da siti istituzionali (48%, stabile), da quelli di notizie (43%, +1%) e dai social media (33%, — 1%).

Fonte: repubblica.it

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