La Francia fa un altro passo avanti nella moda green. Allo studio una legge anti-fast fashion

La Francia si oppone ancora al fast fashion. Da tempo in prima linea sul fronte della moda sostenibile, il Paese d’Oltralpe fa un ulteriore passo avanti nella sua lotta: il governo sosterrà, infatti, una proposta di legge per sanzionare la moda low cost, e vietare la pubblicità dei suoi rivenditori. Ad annunciarlo è il ministro per la Transizione ecologica, Christophe Béchu.

L’obiettivo, in linea con le direttive delineate dall’Unione europea, è ridurre l’impatto di un’industria estremamente inquinante come quella tessile, scoraggiando dinamiche di produzione che diano vita a capi effimeri e offrendo ai consumatori una comunicazione più trasparente e orientata alla sostenibilità. Nel disegno di legge è prevista la modulazione di un eco-contributo versato dalle aziende in base al loro impatto ambientale, in modo da ridurre il divario tra i prodotti di fast fashion e quelli dei settori più lontani dalla produzione ‘intensiva’.

All’inizio di febbraio, era stata la proposta del deputato repubblicano Antoine Vermorel Marques volto, si legge sulla stampa francese, a istituire proprio un sistema bonus-malus, prevedendo una tassazione dei prodotti ‘fast’ fino a cinque euro, che graverebbero sulle aziende che producano oltre mille articoli al giorno. È stato poi il testo di Anne-Cécile Violland, deputata di Horizons, a passare davanti alla commissione per lo sviluppo sostenibile, prima di essere esaminato dall’Assemblea il prossimo 14 marzo. L’aggiornamento inasprirebbe la versione precedente, facendo salire l’imposta a dieci euro per capo di abbigliamento ‘incriminato’. La stessa deputata avrebbe specificato ai microfoni di Le Figaro che non si tratterebbe di una legge apertamente in opposizione a Shein o Temu, ma di fatto finirebbe inevitabilmente per intaccare la superpotenza dei colossi dell’e-shopping a basso prezzo.

Nella sola Francia, si legge su New Day Fr, il numero di abiti messi in vendita sugli e-commerce è più che triplicato in dieci anni, con una media di 3,3 miliardi di pezzi all’anno. La loro ‘aspettativa di vita’, però, è diminuita di un terzo.

Al di là dell’esito del ddl, la Francia si è dimostrata negli ultimi anni più all’avanguardia rispetto ai vicini Stati membri in materia di circolarità e transizione green nel settore della moda, dall’Epr alla vigilanza sulla filiera, passando per il bonus riparazione. Mentre quasi tutti i Paesi dell’Unione europea sono in attesa delle norme comunitarie che dovrebbero delineare un regime di ‘Responsabilità estesa del produttore’ a tutti gli effetti europeo, la Francia è tra le poche realtà ad avere giocato d’anticipo mettendo in piedi un sistema nazionale che responsabilizzi i player della filiera imponendo loro di farsi carico dell’intero ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato.

Lo scorso autunno, inoltre, è partito anche il cosiddetto ‘bonus rèparation’. Analogamente a quanto già accadeva per gli elettrodomestici e alcuni prodotti tech, i consumatori possono chiedere un rimborso tra i 6 e i 25 euro per fare riparare un proprio indumento presso sartorie o calzolerie aderenti al programma, anziché buttarlo via. Se si pensa che in Francia vengono buttate circa 700mila tonnellate di vestiti l’anno, due delle quali destinate alla discarica, aveva evidenziato qualche mese fa Il Post, il bonus si poneva come un tentativo di mettere un freno agli sprechi incentivando, in questo caso, i consumatori prima ancora che le aziende al riuso anziché all’acquisto di prodotti nuovi.

l bonus attinge, ricorda Il Sole 24 Ore, dai 150 milioni di contributi che le aziende devono versare come stabilito dalla legge ‘Agec’ (legge antispreco per l’economia circolare, ndr), che prevede un più ampio programma di trasformazione della filiera in senso sostenibile tra il 2023 e il 2028.

Fonte: pambianconews.com

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