Green retail: la sfida della sostenibilità nei settori del Fashion e Beauty

Da strategia di marketing a vocazione aziendale.

Si è tenuto il 26 novembre scorso il webinar “Green Retail: la sfida della sostenibilità – Fashion & Beauty”, ultima tappa 2020 del progetto lanciato quest’anno da Retail Institute Italy per supportare le aziende nel percorso di realizzazione di un’economia circolare.

Oggi la sostenibilità è un asset fondamentale per i consumatori, sempre più sensibili verso le iniziative green, o per le aziende, impegnate nel realizzare e nel promuovere una Green Vision incisiva e d’impatto, al fine di rafforzare la propria Brand Identity interna ed esterna, creare nuovo valore, e consolidare il legame con i clienti.

Attraverso l’intervento di esperti e aziende leader del settore, si è discusso di come le aziende Fashion & Beauty stiano approcciando questo tema, gli obiettivi di ecosostenibilità per i prossimi anni, le azioni di sensibilizzazione verso i consumatori, i prodotti eco-friendly immessi sul mercato e le azioni più rilevanti adottate per essere pienamente riconosciute come aziende pienamente sostenibili. L’incontro digitale, moderato da Fabrizio Vallari, Direttore Editoriale di Green Retail, è stato un’occasione per conoscere esempi di aziende virtuose, che hanno sposato la sostenibilità a 360 gradi.

Ad aprire i lavori con la prima sessione, dedicata alla sostenibilità nel Fashion, Giovanni Ottonello, Art Director, IED – Istituto Europeo di Design, che ha introdotto il tema dell’evoluzione del concetto di sostenibilità, dal 1859: quando “Arts & Crafts” per la prima volta capiscono che la produzione e l’espansione dell’industria nelle città danneggiano l’ambiente al 1992, anno in cui viene codificato il termine sostenibilità con presa di coscienza degli impatti sulle generazioni future, al 2013 quando l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara che entro 50 anni il 75% della popolazione vivrà all’interno di una città, imponendo di ragionare con una previsione molto più ampia, ai tempi attuali. “Oggi 23mila specie sono a rischio, il 29% del patrimonio dell’umanità è minacciato, entro il 2050 le Maldive spariranno. Possiamo scegliere di consumare, comprare, informare, comunicare diversamente”, chiosa Ottonello, secondo cui il futuro della moda, secondo settore per inquinamento, oggi si potrebbe riassumere in quattro concetti legati a trend emergenti: Second hand: usato e vintage, ma alla luce dell’evoluzione del concetto che non riguarda più solo l’acquisto di un oggetto usato, ma il “passaparola” che porta alla creazione di una rete di relazioni, per cui l’oggetto passa a qualcuno vicino; Swap: la smaterializzazione, prendere un oggetto e riutilizzarlo per costruire qualcos’altro in tutte le sue componenti; Boro: termine giapponese che indica il rammendo, come idea di recupero dei capi usati che arriva dall’antica tradizione di rinsaldare le ceramiche con l’oro; Slow Fashion: produrre solo quello che si vende, in base alla richiesta, su commissione. A quest’ultimo punto si lega il futuro delle startup che operano in questo settore, in grado di coniugare esperienze e personalizzazione, elementi che fanno sentire parte di un sistema, di un progetto: salvare il pianeta.

Abbiamo poi avuto modo di conoscere più da vicino alcune aziende che il tema della sostenibilità nel Fashion da punti di partenza molto diversi: Enrica Arena, Co-Founder di Orange Fiber, ha presentato la sua realtà, nata dall’idea di sviluppare un materiale partendo dagli agrumi, dal residuo della spremitura, utilizzando un sottoprodotto dell’industria alimentare che andrebbe smaltito, disponibile in grandi quantità (in Italia più di 700mila tonnellate). “La domanda di materiali innovativi e sostenibili è aumentata molto, più che raddoppiata dal 95 al 2017, soprattutto in relazione alle nuove abitudini di consumo, alla maggiore attenzione da parte dei consumatori verso il tema della sostenibilità”. Se da un lato, i due maggiori materiali acquistati sono ancora cotone e derivati del petrolio, entrambi poco sostenibili, dall’altro il cliente oggi è sempre più interessato al tema della sostenibilità, cerca su internet prima di acquistare un prodotto, per accertarsi della provenienza dei materiali. I brand riuniti per trovare una definizione univoca di sostenibilità all’interno della Global Fashion Agenda, dichiarano di avere come priorità quella di voler investire maggiormente in materie prime più sostenibili. Orange Fiber ha un rapporto diretto con chi produce succhi, per estrarre direttamente la cellulosa, realizzare le tessiture e metterle a disposizione dei brand di moda, posizionandosi come prodotto di seta per il mercato del fashion e del lusso. Tra questi, il primo cliente, pioniere nella sostenibilità, è stato nel 2017 Salvatore Ferragamo, collaborazione poi raccontata attraverso le etichette su capo finito. In tempi più recenti H&M, che ha creato la collezione H&M Conscious Exclusive. A testimonianza della nuova propensione dei consumatori, quest’ultima, nonostante prezzi delle classiche collezioni, è andata sold-out nel giro di un’ora dal lancio.

Da lì Orange Fiber si è ampliata iniziando a collaborare con diversi brand (+di 100 lusso e lusso accessibile) e nel 2019 ha avviato una campagna di equity crowdfounding che ha condotto alla raccolta di 1 milione di euro per acquistare materiali per aumentare la capacità produttiva.

È stata poi la volta di Anna Fiscale, Founder & President di Progetto Quid, impresa sociale con la sostenibilità nel DNA, che ha mirato ad invertire il ciclo classico della moda, partendo dai tessuti di rimanenza per creare collezioni di qualità e design. Tramite il proprio brand di accessori e moda etica Made in Italy, offre opportunità professionali a quanti vivono circostanze di fragilità lavorativa, con particolare attenzione alle donne. Con 10 negozi diretti nel nord italia, 70 rivenditori multimarca e grandi player del Luxury e Lifestyle, 150 dipendenti di 16 nazionalità, il 70% con un passato di fragilità, l’85% donne, Progetto Quid ha recuperato più di 800km di tessuto negli ultimi 6 anni e vanta importanti collaborazioni con realtà tra cui Vichy, Unilever, Vivienne Westwood, Coin e Zalando.

La seconda sessione, dedicata alla sostenibilità nel Beauty è stata introdotta dall’intervento di Antonio Argentieri, Docente del master in marketing e comunicazione dei prodotti cosmetici, Università di Siena che ha evidenziato come il mercato cosmetico a connotazione naturale si sia allargato a vari canali distributivi negli ultimi anni, già prima della pandemia, aprendo poi ad un quesito: dove va il consumatore a cercare i prodotti? L’erboristeria tradizionale rimane un canale distributivo di riferimento per i prodotti green ma non è più il solo: per dare una cifra il fatturato delle aziende che “si riconoscono” in questo posizionamento allargato a diversi canali, vale nel 2019 1600 milioni di euro (Fonte Cosmetica Italia). Mintel rileva che il 50% dei nuovi lanci ha un claim legato alla naturalità, ad una caratteristica green, e che oggi non si riferisce più solo alle caratteristiche del prodotto ma è concettualmente legato al tema della sostenibilità per il suo posizionamento di mercato, che ha nella formulazione dei prodotti e nell’immagine uno dei suoi parametri fondamentali. “Comunicare questo posizionamento non è facile, il consumatore è bombardato da nuove definizioni (prodotti vegetali, naturali, di derivazione naturale, con caratterizzazione naturale, bio, certificati), che non sempre comprende o comprende relativamente, che decodifica in modo “proprio. Tutti i cosmetici devono seguire le norme del regolamento cosmetici 1223/2009 CE ma i “posizionamenti” di mercato sono diversi. È importante orientare il consumatore attraverso formulazioni più precise, nella comunicazione, nella confezione. Cosmetica Italia ha sentito la necessità di effettuare uno studio, interpellando le aziende associate, per stabilire un perimetro di classificazione che aiuterà, anche nella comunicazione. Le aziende si sono raggruppate in due perimetri principali: Cosmetico a connotazione naturale biologico e a Sostenibilità Green, che in parte si sovrappongono per una parte che vale 900 milioni di euro di fatturato.”

Secondo i dati condivisi, la pandemia ha influenzato molto i comportamenti e i consumi: nel periodo fine febbraio-fine giugno 2020 in particolare, si è il consumatore fortemente spostato su igiene corpo, i cosmetici sostenibili green e quelli a connotazione naturale bio hanno sofferto meno delle altre categorie di prodotti anche per l’incremento dello spostamento, che era già corso, verso nuovi canali. Negli ultimi decenni, nelle aziende si è sviluppata l’attuazione organizzata e controllata della sostenibilità, anche le certificazioni hanno contribuito allo sviluppo del segmento. “Ritorneremo alla vecchia sostenibilità o andremo verso una nuova? Probabilmente avremo una nuova normalità simile alla vecchia ma con contenuti diversi… 83 categorie di prodotti non spariranno, i prodotti igienizzanti manterranno un peso importante ma non si può vivere solo di quelli. Sicuramente i prodotti dovranno essere più sicuri, garantire bene della comunità, non solo della persona. Il “Basic consumer benefit” dovrà evolvere in un bene che tutela anche la comunità” – conclude il Prof. Argentieri.

Per Barbara Gavazzoli, Direttrice Comunicazione e Education di Davines, la sostenibilità è il percorso della sua azienda: di apprendimento, di scelte, sostenibilità è un tema in cui servono ancora competenze. Importante trasformare i prodotti dell’industria in occasioni virtuose di business sostenibile. Davines, sul mercato della cosmesi professionale da 36 anni è una realtà internazionale presente in 90 Paesi, nata come laboratorio di ricerca: partita dall’idea di evitare lo spreco, è tra i pionieri della sostenibilità, su cui si basa la strategia aziendale: proprio l’impegno per la sostenibilità, molto sentito a livello mondiale, ha permesso questo sviluppo. “Vogliamo trovare soluzioni per le sfide più importanti, abbiamo una purpose molto specifico che va oltre il prodotto, essere migliori per il mondo, creatori di buona vita per tutti, attraverso la bellezza, l’etica, la sostenibilità”. – ha sottolineato la Gavazzoli. Il primo step è stata la certificazione BCorp: le aziende per natura distruggono risorse ma se mettono in atto determinate scelte possono produrre valore per tutti gli shareholders. Ogni tre anni viene fatta la ricertificazione, con obiettivo di aumentare il punteggio, su impatto ambientale, governance, comunità, clienti. La sostenibilità dev’essere misurabile: nel 2015 Davines ha iniziato a pubblicare un rapporto di sostenibilità, fondamentale per stabilire obiettivi chiari ma anche come atto di trasparenza, che fa riferimento ai Sustainable Development Goals dell’ONU, People Planet. – ”Tutto il team manageriale ha nel proprio MBO (management by objectives) obiettivi di sostenibilità, e sostenibilità è anche rispetto e fiducia – prosegue Gavazzoli – abbiamo eliminato la timbratura e aumentato la flessibilità, i dipendenti possono svolgere ore volontariato pagato per sostenere l’ impatto sociale, c’è attenzione alla qualità degli ambienti di lavoro e alla scelta degli alimenti, a km zero, per supportare e promuovere uno stile di vita sostenibile. Abbiamo un tema interno di Life Cycle Assessment, dell’analisi dell’impatto di tutte le fasi, di produzione, distribuzione, fine ciclo. Abbiamo un dipartimento di sostenibilità che collabora con ricerca, sviluppo e marketing, proprio per dare un riferimento interno. Nel 2019 abbiamo raggiunto il numero Zero, che significa zero spreco alla fine della produzione, tutto viene riciclato o diventa materia di creazione o nuova energia.”

Alla domanda: Può esserci sostenibilità anche nel conto economico, la Gavazzoli risponde: “Sì, anche se non dobbiamo affrontare questo tema con troppa semplificazione. È possibile applicare l’approccio a tutti i settori dell’azienda, ma credo che conti molto l’approccio alla sostenibilità come tema di vocazione aziendale non tanto di comunicazione. Le aziende si stanno aprendo alla possibilità di guardare ai costi legati alla sostenibilità alla luce del fatto che è una priorità. Un consumatore oggi riesce a discernere e valutare anche questo aspetto, è importante comunicare al meglio queste peculiarità.”

A concludere l’incontro, la presentazione di Franco Bergamaschi, CEO, L’Erbolario. Il cosmetico a connotazione naturale trova il primo canale distributivo in erboristeria, quindi L’erbolario ha il green nel dna: nato l’11 novembre 1978, nel 2002 ottiene la certificazione ISO 14001 che certifica anno dopo anno le prestazioni ambientali dell’azienda, in questi 18 anni le prestazioni ambientali sono migliorate ma Bergamaschi sottolinea come sia stata anche gratificante l’opera di “proselitismo” verso tutti i fornitori. “Nel 2013 abbiamo avuto anche l’onore di ricevere una nota di merito da DNV GL2.” Aggiunge, nel sottolineare che alla base, servono materie prime di origine sostenibile e rinnovabile, elemento “scontato” per L’Erbolario, dato che si parla di cosmetici vegetali, è importante che l’agricoltura presti attenzione a non impoverire il suolo, in ottica rigenerativa, così come fondamentali anche le metodiche di produzione, che devono prendere in considerazione fattori come risparmio energetico, riutilizzo delle acque di processo, energia rinnovabile: L’Erbolario si è dotato di un parco fotovoltaico da 977 KWP, integrata con energia da fonti rinnovabili che ha portato all’autoproduzione annua di 1.100.000 KWH, pari al 50% del fabbisogno energetico annuo, evitando l’emissione di oltre 500.000 kg di Co2, pari a un bosco di 3500 alberi. Infine, il packaging è il primo e ultimo biglietto da visita di un prodotto. L’Erbolario utilizza packaging sostenibile: ampio spazio al vetro ma ogni imballo deve preferibilmente mono-materiale, semplice e facile da separare nello smaltimento.

Oggi l’azienda utilizza anche delle plastiche recuperate da oceani e fiumi, in un anno sono stati recuperati 5.000 kg di plastica, pari a 5 milioni di cannucce, il QRcode sulle confezioni permette di conoscere la provenienza di questa plastica. 100% della carta utilizzata sarà certificata. Non ultima, l’attenzione dell’azienda al benessere delle 180 persone che vi lavorano con noi.

I consumatori sanno che siete sostenibili anche nella produzione? chiude il moderatore Fabrizio Vallari, Direttore Editoriale di Green Retail: “Bisogna comunicare sempre meglio queste peculiarità . . . la pandemia ha dato alcuni piccoli momenti di gioia perché abbiamo verificato nuovamente una manifestazione di affetto di consumatori che citavano proprio le piccole ma significative azioni per una sostenibilità a tutto tondo. Vediamo un senso di appartenenza, democratizzazione di una bellezza naturale e sostenibile, un piccolo lusso accessibile. Un antico adagio recita: il sogno di ieri, speranza di oggi, certezza di domani, speriamo sia così per la sostenibilità del cosmetico.”

Fonte: greenretail.news

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