Crai Futura la sfida di un nuovo modello distributivo
Giangiacomo Ibba, presidente e amministratore delegato di Crai Secom, illustra la trasformazione in atto, gli obiettivi di crescita e le leve su cui punta per rafforzare il ruolo del gruppo nella distribuzione moderna.
Nel pieno di una stagione di grandi cambiamenti ti per la gdo -tra acquisizioni, uscite di scena e nuove alleanze i consorzi possono ancora giocare un ruolo da protagonisti? Giangiacomo Ibba ne è convinto e con Crai Futura ha avviato una delle trasformazioni più ambiziose della distribuzione moderna. Un percorso che mette al centro cultura, metodo e visione industriale, senza dimenticare il capitale umano e la formazione delle nuove generazioni.
Il settore vive una fase di forte concentrazione e ridefinizione. È questo il momento perché i consorzi smettano di inseguire e inizino a proporre un modello competitivo alternativo?
Sì, credo che la trasformazione fosse inevitabile: è cambiato il contesto, ma il nostro sistema distributivo era rimasto ancorato a regole scritte negli anni Settanta. Oggi i trend demografici e sociali -invecchiamento della popolazione, famiglie più piccole, consumi fuori casaimpongono nuove scelte. Se vogliamo non solo sopravvivere ma costruire futuro, dobbiamo rivedere i modelli: negozi, servizi, orari, proposte.
Nel ridisegnare questo modello, qual è la visione finanziaria che guida Crai?
Parto da un presupposto: per anni la distribuzione ha pensato che il valore si creasse solo sugli acquisti, sul prezzo spuntato e sui premi di fine anno: quel modello non basta più. Oggi il vantaggio competitivo nasce dalla capacità di interpretare i clienti, costruire assortimenti coerenti, gestire promozioni efficaci e dare una percezione di convenienza chiara. Tutto questo richiede tecnologia, velocità decisionale e investimenti consistenti. Per questo abbiamo deciso di superare logiche frammentate e duplicazioni di attività, che disperdevano risorse senza creare valore. Abbiamo centralizzato funzioni e ridotto sovrapposizioni, così da liberare capitale da reinvestire in innovazione. La tecnologia, in particolare, è un fronte strategico: dai sistemi di definizione degli assortimenti al pricing dinamico, fino all’uso dell’intelligenza artificiale per rendere più efficienti le operation. Penso anche ai magazzini logistici, che grazie all’automazione potranno ridurre i lavori più usuranti e migliorare la qualità del lavoro delle persone. La nostra visione finanziaria è quindi duplice: da un lato costruire efficienza interna, dall’altro rafforzare la nostra “casa madre”, trasformata in società di capitali, che deve essere sempre più solida e attrattiva per nuovi investitori. Crediamo che il futuro della distribuzione non potrà basarsi solo sul debito bancario: dobbiamo imparare a dialogare con il mondo finanziario, a raccontarci con trasparenza, a garantire redditività e regole di governance chiare. Questo ci consente non solo di attirare capitali esterni per la crescita del gruppo, ma anche di diventare un veicolo di finanza sana per i nostri soci. In altre parole, una Crai più capitalizzata è in grado di sostenere i singoli imprenditori -oltre mille in tutta Italia quando devono ristrutturare o modernizzare un punto di vendita, o quando vogliono svilupparne di nuovi. È un circolo virtuoso: rendere più forte il centro per aiutare la periferia, e viceversa, con l’obiettivo di crescere insieme e garantire continuità nel tempo.
Crai Futura è stata presentata come un progetto di svolta. A che punto siete oggi?
Siamo a metà di un percorso che ha richiesto prima di tutto un lavoro profondo “dentro casa”. Quando i soci mi hanno dato mandato, ho usato l’immagine di una casa costruita nel 1973, solida ma che necessitava di una ristrutturazione completa prima di pensare a nuove stanze o ampliamenti. Abbiamo quindi lavorato molto sulla cultura interna e sulla riorganizzazione dei centri distributivi. Oggi non esistono più tanti obiettivi diversi, ma un’unica visione condivisa: migliorare la redditività e la capacità di generare valore del sistema, partendo sempre dal punto di vendita. In questi anni non sono mancate difficoltà: ristrutturare comporta anche gestire imprevisti e crisi, che abbiamo affrontato tutelando fornitori, stakeholder e reputazione ma abbiamo anche fatto passi avanti importanti: abbiamo codificato in maniera chiara i format -dalla prossimità urbana alla prossimità ruralee avviato progetti come TuttiGiorni, che ridisegnano il concetto di spesa quotidiana, o come la prossimità rurale, che intercetta bisogni sociali e territoriali legati al tema della “restanza”.
La “restanza” è una parola che ricorre spesso nei suoi discorsi: perché è così importante?
Perché oggi molti giovani scelgono di restare nei luoghi d’origine, anche per prendersi cura dei genitori anziani. Una prossimità ben progettata può sostenere questo diritto sociale, oltre che garantire un presidio economico. In tanti piccoli comuni dove Crai è presente abbiamo già quote significative di consumo: qui possiamo fare davvero la differenza.
Il capitale umano è centrale nel progetto. Come state lavorando sul passaggio generazionale?
Serve un cambio culturale: non basta più chiedersi a che prezzo compro la merce, ma quanto profitto genera l’investimento nel punto di vendita. Per questo abbiamo creato percorsi formativi con l’Università di Parma e altre realtà, sia per i giovani sia per gli imprenditori già attivi. Abbiamo introdotto esperienze pratiche, valutazioni sugli esiti e settimane di lavoro in negozio per i manager di sede. E crediamo molto nei giovani, che portano entusiasmo e libertà dai preconcetti.
Parliamo di sviluppo: cosa significa oggi crescere per Crai?
Oggi crescere non significa soltanto aprire nuovi punti di vendita o aumentare la quota di mercato, ma costruire un modello sostenibile nel tempo, capace di valorizzare il capitale umano e differenziarsi per qualità dell’offerta. Per Crai sviluppo vuol dire innanzitutto saper accogliere nuovi imprenditori, anche provenienti da esperienze differenti, e integrare culture aziendali diverse mantenendo però una visione comune. Non crediamo in un franchising inteso come “serie B” del retail: per noi ogni punto di vendita, che sia diretto o in affiliazione, ha la stessa dignità e lo stesso valore. L’imprenditore è il pilota della macchina: conosce il territorio, instaura relazioni quotidiane con i clienti e ha la flessibilità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti. È questo presidio umano a fare la differenza nella prossimità, dove la relazione diretta conta più di qualsiasi algoritmo. Crescere significa quindi dare a questi imprenditori strumenti adeguati, supporto operativo e una visione chiara. Significa investire in tecnologia, logistica e formazione per permettere a ogni punto di vendita di essere competitivo, anche nei contesti più difficili. Non è solo un fatto di numeri: crescere è creare valore condiviso lungo tutta la filiera, dare ai nostri soci e ai loro collaboratori prospettive concrete di sviluppo, rendere più forte il brand agli occhi del consumatore e costruire relazioni di fiducia con le comunità locali.
Alla luce delle recenti operazioni di mercato, Crai può diventare un’alternativa forte e credibile?
Lo spero, ed è l’impegno della mia vita e dei miei soci. Abbiamo tre leve: gli imprenditori, la forza del brand e la marca privata, che ci permette di differenziarci. La dimensione conta, perché consente investimenti in tecnologia e formazione: oggi Crai è vista sempre più come un’unica realtà da oltre tre miliardi di euro. Questo ci dà la possibilità di costruire un futuro competitivo e credibile nel panorama italiano della gdo.
Fonte: mark-up.it


