L’arte di vendere in lockdown: i brand a caccia di nuove relazioni

Irrinunciabili burritos. Nonostante il mondo capovolto dall’emergenza coronavirus in America il prodotto di punta della catena Chipotle – colosso della ristorazione fast casual nato nel 1993 grazie all’intuizione dello chef Steve Ells, un fatturato di 4,5 miliardi di dollari con 2.000 negozi di proprietà e più di 45.000 dipendenti – resta un riferimento per milioni di famiglie. Per comprendere la crescita basti pensare che all’esordio nel 2006 a Wall Street ogni azione era quotata a 22 dollari, mentre oggi ne vale trenta volte tanto. In queste giornate l’azienda ha deciso di garantire il servizio di consegna in auto, regalando con lo scontrino un ingresso gratuito per pranzi virtuali via Zoom con influencer e testimonial. La campagna prende il nome di “Chipotle Together” e ogni giorno aggrega migliaia di fan. Il picco l’ha raggiunto la videochat con Colton Scott Underwood, un passato da campione di football e oggi presenza costante nei reality tv americani. Non è un caso isolato. Sempre Oltreoceano la catena di ristorazione Popeyes ha deciso di regalare un abbonamento a Netflix per i primi mille avventori decisi a pubblicare su Twitter un selfie con l’hashtag #ThatPasswordFromPopeye. “Perché i clienti sono come una famiglia e in famiglia si condividono film e serie tv”, ha argomentato la marca sui social. Intanto la birra Bud ha esordito con concerti virtuali su Instagram Live. Venerdì scorso il primo “Bud Tour Home Edition” con la star di musica country Jake Owen. Non c’è solo la tavola: il colosso di arredamento Burrow ha chiuso i propri show-room, ma ha attivato la chat in video con gli arredatori. Gli acquirenti possono fissare gli appuntamenti e scegliere il prodotto in realtà virtuale direttamente sullo smartphone.

La nuova era conversazionale
Entrare necessariamente nelle case dei consumatori, avendo più della metà del pianeta in isolamento. È inevitabile l’approdo in famiglia dei brand, anche editoriali, favorito dal contatto mediato grazie ai servizi di messaggistica istantanea. Non a caso proprio in questi giorni Le Monde ha creato un posto da vice-direttore per le relazioni con la community. «Vogliamo approfondire il contatto con i nostri lettori», ha scritto il direttore Jérôme Fenoglio. A caccia di concretezza, velocità, responsabilità, autenticità nella comunicazione, come ha riportato l’Harvard Business Review. Spazio alla virtualità e al bando la cartellonistica e le campagne di guerrilla marketing. Un crollo imprevedibile per l’OOH, acronimo che sta per out of home e che indica le modalità di comunicazione rintracciabili fuori casa: soltanto poche settimane fa GroupM aveva profetizzato per questo 2020 una crescita del +8% sugli investimenti in OOH. Ma era prima dell’avvento di questo mondo nuovo e instabile. «Stiamo assistendo ad un remarketing senza precedenti. Sta tornando in voga la stampa e crescono gli investimenti in social, e-commerce, podcast. L’obiettivo è mantenere, acquisire e convertire i consumatori fisici in utenti per acquisti virtuali», ha affermato su Adweek Rachel Tipograph, Ceo dell’agenzia MikMakTV e per Forbes America una delle 30 under 30 più promettenti nel marketing. Trasparenza, autenticità, coerenza. «Oggi a nessuno interessa più quanto sia bella la tua creatività. Cerca di offrire messaggi utili come la consegna in un’ora, la sicurezza per le persone che lavorano, la scontistica nei servizi. Dialoga in videochat e fai entrare il tuo team di marketing nel call center per conoscere le nuove esigenze dei consumatori», ammonisce Tipograph.

Relazioni multicanale
L’impatto del Covid19 sulle interazioni e sui risultati di business è anche al centro della ricerca promossa dal CEL (Commercial Excellence Lab), il centro di ricerca nato nel 2016 all’interno della SDA Bocconi e focalizzato sull’eccellenza in ambito commerciale. Docenti e ricercatori hanno mappato le nuove relazioni di coloro che sono impegnati ogni giorno nel contatto col cliente. Già prima del decreto dell’8 marzo il 71,2% delle aziende in cui lavorano i commerciali intervistati e l’82,9% dei loro clienti hanno adottato politiche restrittive sulle visite di persona. Quasi 7 commerciali su 10 hanno ripensato la relazione grazie all’uso di interazioni alternative, arrivando a scegliere fino a 4 canali differenti: si va da quelli più tradizionali (mail e telefono) preferiti dal 57,7% a quelli digitali (messaggistica, online call, web conference) usati nel rimanente 42,3%. «Maggiore è il numero di canali alternativi utilizzati, maggiore è la capacità di mantenere le relazioni con i clienti e, quindi, di contenere le perdite di fatturato. Poiché i canali digitali sono quelli meno utilizzati, il loro uso diventa uno strumento potente per arginare le difficoltà. Questa tragica emergenza può rappresentare anche uno stimolo al processo di digitalizzazione delle reti commerciali», afferma Paolo Guenzi, docente di marketing all’Università Bocconi e co-fondatore con Paola Caiozzo del CEL. Il digitale come chiave per creare nuove relazioni con sistemi alternativi di contatto. «La competenza in un mercato è nelle reti commerciali, che hanno la capacità di comprendere prima di altri ciò che accade. Le aziende in generale non sono state colte alla sprovvista perché l’ultimo miglio, cioè il contatto finale con i clienti, si è accorto prima di ciò stava accadendo», afferma Guenzi.
Nuove relazioni multicanale rispetto alle resistenze del passato. «Il Covid-19 ha fatto emergere esigenze di territorialità e un’attenzione identitaria. La presenza costante e la vicinanza relazionale si esplicitano necessariamente con elementi digitali, laddove non ci sono aperture fisiche obbligatorie. Ma attenzione: parliamo di cambiamenti e non di mutamenti dei processi di consumo, con una ricentratura inevitabile dei bisogni», afferma Marco Zanardi, presidente di Retail Institute Italy, associazione di settore attiva da vent’anni con oltre 240 iscritti. «Questa crisi ha portato ad una esplosione del virtuale con proporzioni che stanno cambiando rapidamente. La marca, essendo generatrice di senso, per stare in connessione coerente col consumatore deve rimodulare il suo brandtelling», conclude Zanardi. Così in questo mondo nuovo le marche devono fiutare i segnali deboli e ripensare rapidamente la propria narrazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore, 28 marzo

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