E-commerce: provo i vestiti in negozio, ma poi li comprerò online

Negozi con schermi touch, tecnologie per contare gli ingressi nei centri commerciali, addetti alle vendite in videochiamata: è il futuro del commercio al dettaglio. L’emergenza Covid-19 ha anticipato il progresso, almeno qui. Da anni si parlava di omnicanalità (integrazione tra commercio fisico e digitale), ma ora il nuovo standard deve trasformarsi in realtà. Lo sa l’alta moda. Per esempio, Dolce&Gabbana per l’apertura post lockdown a Hong Kong ha lanciato sessioni di video-boutique per i clienti, da visitare prima di andare nel negozio fisico.

I dati dell’e-commerce
Secondo l’Osservatorio Innovazione digitale nel retail del Politecnico di Milano, il 79% dei negozianti italiani hanno o fanno uso di un sito ecommerce (dato 2019, era il 75% nel 2018). La percentuale sale all’85% nei settori Abbigliamento, Editoria, Fai da te e Informatica, mentre nell’Alimentare è solo al 55% (46% nel 2018). Il 50% gestisce in maniera centralizzata l’inventario e il 60% ha adottato un sistema di order management per la gestione congiunta di tutti gli ordini provenienti da diversi canali.

«In Italia il lockdown ha accelerato l’uso dell’ecommerce di più del 100% — dice Sandro Castaldo, professore di Trade marketing della Bocconi —. Le tecnologie, come la realtà virtuale, possono aiutare negozianti e marchi. Sempre più si dovrà studiare un punto vendita che funga da showroom, per consulenza e consigli, ma che poi si completi con l’attività digitale». Il negozio di vicinato può diventare un punto di esperienza, poi la merce arriva a casa.

Il rapporto diretto diventa quasi consulenziale: più shopper advisor, meno commessi, meno necessità di self service, più scrivanie e meno scaffali. La startup italiana Lanieri, che vende abiti su misura da uomo online e ha showroom nelle maggiori città italiane ed europee, in tempi di Coronavirus ha lanciato un servizio tutto virtuale, via Zoom , Whatsapp, Google Meet: consente di creare il capo su misura da remoto, guidati in diretta da consulenti sullo stile. Le startup del comparto nel mondo hanno attirato investimenti per quasi 20 miliardi di dollari nel biennio 2018-19 (dato Techcrunch, maggio 2020) e vanno forte anche in tempi di Covid.

I casi
In Italia, lo scorso aprile, la startup Xenialab, che ha sviluppato una piattaforma multicanale per voce, chat, email, video, sms, social network e WhatsApp for business, è stata acquisita per 4,7 milioni dal gruppo Ingo. A maggio la milanese Checkout Technologies, automazione nel retail, è andata alla statunitense Standard Cognition. La tecnologia di Checkout Technologies permette, per esempio, di registrare le azioni dei clienti all’interno di un punto vendita e quindi di fare acquisti senza passare dalla cassa. Infine molti negozi optano per tecnologie come quelle sviluppate da Stentle, poi acquisita da M-Cube Digital Engagement. «Con le nostre soluzioni e l’intelligenza artificiale l’addetto alle vendite può usare schermi con video in negozio, mostrando per esempio la manifattura di un oggetto — dice il fondatore, Alexio Cassani — Dotiamo i negozi di touchscreen che consentono al cliente di avvicinare un prodotto, verificarne le informazioni e chiamare un commesso con un clic». Il sistema è stato usato in alcuni negozi di Luisa Spagnoli.

Nelle boutique di Bally di Milano e dell’aeroporto di Hong Kong, invece, Stentle ha installato degli smart mirror touch che consentono di fare richieste ai commessi dai camerini. «Prima si portava l’ecommerce in negozio, ora portiamo il negozio fuori — dice Cassani —. Stiamo lavorando a videocall tra cliente e commesso con recapito a domicilio dei prodotti per la prova. La soluzione non è convertire il commercio tradizionale a ecommerce, ma digitalizzare parte dell’esperienza». Per i negozianti il Channel & Retail Lab della Sda Bocconi ha sviluppato Fase2.today, un simulatore gratuito che calcola i potenziali clienti quotidiani.

Fonte: corriere.it

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