to.market il mini-format urbano che educa al benessere
Founder e ceo di to.market, Mattia Ballabio ha costruito un’insegna di prossimità capace di innovare linguaggi, assortimenti e relazioni con il cliente.
Nato nel 2012 da un’intuizione di Mattia Ballabio, to.market ha reinterpretato il concetto di superette di vicinato, adattandolo al contesto urbano contemporaneo. Con un forte radicamento a Milano e un’identità ben definita, questo format indipendente ha puntato sulla prossimità, sull’attenzione alla salute e sulla capacità di testare prodotti e format con agilità. Oggi conta venti punti di vendita e continua a crescere in modo organico, sperimentando modelli e collaborazioni che ne fanno un laboratorio innovativo del retail alimentare.
Da dove nasce l’idea di to.market e come sei arrivato a fondarlo?
L’idea nasce nel 2012, dopo un periodo in cui lavoravo come responsabile vendite per un’azienda legata al marchio Despar. Viaggiando spesso per l’Europa con seminari e incontri internazionali, mi rendevo conto che mancava in Italia un format urbano, compatto, ma moderno, simile a quelli che vedevo all’estero, come Tesco Express. In quegli anni, la grande distribuzione in Italia non era ancora pronta per modelli di questo tipo, pensati per i centri urbani e per una clientela dinamica. Così ho lasciato la gdo e ho deciso di mettermi in proprio, fondando to.market. Il primo punto di vendita lo abbiamo aperto nella stazione di Pavia, per poi arrivare, pochi mesi dopo, a Milano, in via Filzi. L’idea era semplice: offrire un negozio piccolo, ma con una proposta centrata sul consumo quotidiano.
Che posizionamento avete scelto per to.market?
Abbiamo puntato da subito su un modello pensato per chi vive la città: pendolari, lavoratori, studenti e residenti. L’obiettivo è offrire ingredienti e soluzioni per i pasti delle prossime 24 ore, con una proposta forte sul mondo salutistico, vegetariano e vegano. Ci rivolgiamo a chi cerca praticità ma senza rinunciare alla qualità e alla consapevolezza alimentare. E oggi, in venti negozi concentrati a Milano, lavoriamo su un target molto attento, curioso e ricettivo. Il nostro modello è pensato per inserirsi in zone ad alta densità abitativa e di traffico, dove la prossimità è un valore vero.
Voi avete inziato una collaborazione con Fondazione Veronesi: come nasce questa idea e dove vi ha portati?
Dal 2020 lavoriamo con la Fondazione Umberto Veronesi per portare nei negozi contenuti validati scientificamente sulla buona alimentazione. Crediamo che il punto di vendita sia un luogo fondamentale per educare e sensibilizzare. Usiamo i nostri canali digitali e il circuito di digital signage in store per veicolare messaggi concreti, semplici e utili. La collaborazione nasce da un’esigenza personale ma anche da una visione condivisa: migliorare le abitudini alimentari delle persone là dove fanno la spesa. Tutti i contenuti sono supervisionati dal team scientifico della Fondazione e adattati a una comunicazione accessibile a tutti.
Un’interpretazione interessante dell’evoluzione dei consumi: quali sono i segnali che avete colto che vi hanno portato a questo posizionamento?
Rispetto a 12 anni fa, quando abbiamo aperto il primo negozio, è cambiato tutto. Oggi le persone leggono le etichette, cercano trasparenza, si informano. Se una volta ci si fermava al prezzo, oggi si guarda la lista ingredienti, si valuta l’origine, si riflette sulle porzioni e sull’impatto. Questo ci ha spinto a proporre assortimenti con “etichetta corta” e a selezionare brand coerenti con questi valori. Anche la crescita dell’offerta plant-based e la riduzione del consumo di carne rossa riflettono un cambiamento culturale profondo, che noi vediamo ogni giorno in negozio. Il nostro cliente è esigente, informato e sensibile a tutto ciò che riguarda la salute e l’ambiente.
Avete fatto test importanti in questo senso. Quali hanno funzionato di più?
Il più eclatante è stato quello sul latte: abbiamo tolto per una settimana tutte le bevande di origine animale, spiegando i benefici di quelle vegetali con il supporto di nutrizionisti, volontari di LAV, Essere Animali e altri enti. L’idea era provocatoria ma costruttiva. Il risultato? Nei nostri negozi oggi il 57% delle vendite di latte è vegetale, contro una media di area Nielsen dell’17%. Un impatto enorme, ottenuto con una comunicazione mirata ma anche con il coinvolgimento diretto della clientela. Quel test è stato un punto di svolta anche per noi: ha dimostrato che si può cambiare abitudine con il giusto accompagnamento.
E quelli meno riusciti?
Abbiamo provato a lanciare detersivi senz’acqua da ricostituire a casa. L’idea era interessante, sostenibile e avanti nei tempi, ma non ha funzionato. Nonostante le attività di informazione e sensibilizzazione, la pigrizia -diciamolo- ha prevalso. È un peccato, ma ci insegna che non basta avere un buon prodotto: serve anche che il consumatore sia pronto. Fare impresa vuol dire anche accettare che non tutti i test vadano a buon fine.
Testate anche prodotti di marca?
Sì, e lo facciamo in modo strutturato con la società TEST IT, fondata insieme al professor Alessandro Recla e Harald Antley. Abbiamo spazi dedicati nei negozi dove le aziende possono testare i loro lanci in anteprima, ricevendo feedback reali prima di scalare sul mercato. Questo approccio ci consente di essere un laboratorio per il mercato, ma anche di offrire sempre novità interessanti ai nostri clienti.
Come costruite l’assortimento?
Abbiamo una media di 200 mq a negozio e circa 4.000 referenze, che è un numero importante per superfici così compatte. Lavoriamo con logiche ibride: da un lato garantiamo la disponibilità dei prodotti più venduti, dall’altro testiamo continuamente novità. Spesso sono le stesse aziende a proporci i lanci. Un esempio recente è Koro, brand tedesco specializzato in barrette e sostitutivi pasto, che sta performando molto bene; poi, se il prodotto convince, viene esteso alla rete. Abbiamo una buona capacità di reazione e un team interno che valuta con attenzione ogni inserimento.
Sul fronte digitale, come siete organizzati?
Abbiamo investito in un sistema di riordino automatico con algoritmi previsionali: oggi il 100% degli ordini è gestito in questo modo. All’inizio c’era diffidenza, ma ora il sistema è apprezzato e irrinunciabile. Abbiamo anche lanciato una piattaforma di digital media interna per offrire spazi alle aziende, e utilizziamo l’intelligenza artificiale per supportare la creazione di contenuti social. Questo ci consente di alleggerire il lavoro del team e mantenere una presenza costante online. Siamo attivi anche con due e-commerce: uno nazionale, dedicato esclusivamente al plant-based, con consegne in tutta Italia; l’altro focalizzato sulla dispensa, operativo in ambito locale.
Oggi, avete 20 negozi: come pensate di crescere?
Siamo fieramente indipendenti e non vogliamo entrare in grandi gruppi. Abbiamo ricevuto molte offerte, ma finché ci sarò io, to.market resterà autonomo. Pensiamo che Milano possa arrivare ad assorbire tra i 50 e i 60 punti di vendita. Siamo già presenti anche a Pavia e Monza, con ottimi risultati, e valuteremo altre città lombarde come Brescia o Bergamo se capiteranno le occasioni giuste. Ma il nostro focus resta Milano, dove crediamo ci sia ancora molto da fare.
A proposito di alimentazione: sei vegano?
Nessuno nasce vegano… ma col tempo ci si arriva. Anche in questo caso, è un percorso di consapevolezza. Oggi posso dire che lo sono diventato, per scelta e per coerenza con il mio lavoro.
Fonte: mark-up.it