La moda punta su negozi a tempo e pop up, strategia anticrisi ma anche test per le città

Temporary store e pop-up prendono possesso delle vetrine nelle vie dello shopping. Spazi liberi da brand che hanno cambiato strategia o che non trovano inquilini, ma anche gestiti tout court con questa nuova formula di affitto. È un fenomeno che interessa le vie centrali delle principali città turistiche, in genere caratterizzate da flussi importanti, a causa del momento di incertezza che stiamo vivendo e della mancanza di liquidità. Il trend rileva una domanda in netta crescita, mentre l’offerta rimane scarsa. «Il temporary store prende piede, molti brand non vogliono investire con una ottica di medio termine – racconta Eugenio Amati di Eda Res –. Non si tratta di un negozio temporaneo nel senso letterale del termine, ma di uno spazio che può trasformarsi in store definitivo dopo 6-12 mesi di contratto».

Più facile rescindere un affitto dopo i 12 mesi
Il fenomeno si registra più che altro nelle vie centrali delle città turistiche, meno nelle vie commerciali di quartiere, che hanno sofferto in misura minore la crisi. Pre pandemia i contratti di locazione nelle cosiddette high street erano legati alla possibilità di uscire da parte del tenant (l’affittuario) trascorsi dai 4 ai 6 anni di contratto, mentre in questo momento, nella maggior parte dei casi, per facilitare l’apertura dei temporary, le proprietà sono più disponibili a concedere ai tenant la possibilità di uscire dopo 12 mesi.

I piccoli marchi i più penalizzati, i grandi approfittano dei prezzi più bassi
«Quando si tratta di temporary c’è grandissima attenzione da parte dei proprietari a selezionare brand solidi e importanti che hanno la possibilità di tenere lo store anche dopo il periodo di “prova”» dice Amati. Per contro, i marchi o le aziende piccole sono penalizzate dal fenomeno. «Ci sono anche brand che vendono prodotti stagionali (ad esempio Mr. Christmas, che vende addobbi per alberi di natale) che hanno lanciato una politica di pop up stagionale». Il contratto temporary, locazione di 6 anni + 6 anni, prevede la facoltà di recesso da parte del conduttore dopo i primi 12 mesi. Il canone risulta scontato del 20-30% per il primo anno o per i primi due del contratto mentre, mediamente a decorrere dal terzo anno, i canoni di locazione arrivano a regime ai valori pre Covid. «Alla fine dei primi 12 mesi se il tenant non invia il recesso ha l’obbligo di rimanere almeno fino al terzo-quarto anno», sottolinea ancora Amati. Chi sta approfittando di questo modus operandi sono aziende che vogliono riposizionarsi in nuove location o grandi brand che la crisi ha toccato marginalmente e approfittano del periodo di “saldi” per portare avanti i propri piani di sviluppo.

Identikit del negozio temporaneo, che spesso è un test
Il fenomeno dei temporary o pop up (in inglese, letteralmente, spuntare dal nulla) tocca molti settori. Per quanto riguarda la moda si concretizza soprattutto nelle high street in città e meno nei centri commerciali, dove la percentuale di fashion è elevata e si cerca di evitare troppa concorrenza. Ultimamente il canone diventa spesso una percentuale del fatturato per periodi brevi, soprattutto nelle vie secondarie. In quelle principali resiste un canone simile ai valori di mercato, che si riduce anche del 30-50% per via del momento. Gli spazi vanno da 60 a 200 metri quadri.
Utilizzano questa possibilità molti brand mass market, ma anche marchi del lusso che hanno approfittato per ristrutturare gli store principali. Ci sono trattative in corso anche con brand del lusso che testano il mercato prima di buttarsi su un flagship store. A Roma, per esempio, Moncler ha ristrutturato lo store di piazza di Spagna e ha aperto un temporary a poca distanza; Loro Piana si è spostata in Borgognona con un temporary perché sta ristrutturando via dei Condotti; Decathlon ha aperto il primo negozio per il ritiro in centro dei prodotti comprati on line. A Bologna, Gucci ha aperto un temporary in galleria Cavour.

Perché il successo dei temporary store non finirà presto
La società Cbre ha lanciato 7-8 anni fa il marchio Expo space, dedicato ai pop up, che ha preso piede con una piattaforma con 4mila clienti che nel 2019 ha registrato il fatturato record di dieci milioni di euro. «Spaziamo dai brand di telefonia a quelli dell’automotive (in calo) – dice Franco Rinaldi, responsabile dell’attività di property management di Cbre in Italia –. Il temporary per la moda crescerà in futuro, soprattutto per i marchi che vogliono fare un test sulla zona e sul prodotto e vedere se funziona». Nei centri commerciali hanno utilizzato questa formula Max Mara ed Elisabetta Franchi. «Il trend è importante – racconta ancora Rinaldi –. In futuro il 10-20% della Gla (gross leseable area, superficie totale affittabile, ndr) di un centro commerciale avrà questa formula dinamica di affitto, che porta più reddito alla proprietà e rende i centri più dinamici e interessanti anche per la clientela». E i costi? Viaggiano tra 500 e 2mila euro alla settimana, in relazione alla tipologia di centro commerciale.

Fonte: ilsole24ore.com 

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