Fisico e online, il negozio è uno solo così vuole il nuovo “omniconsumer”

Il coronavirus, insieme alle paure, ha prodotto effetti imprevisti e imprevedibili sulla vita di ciascuno di noi. Anzitutto, sul piano psicologico: perché ha rivoluzionato le nostre abitudini, i rapporti interpersonali, le preferenze di acquisto e il nostro rapporto con la tecnologia. Si tratta di una svolta, di un’inversione di tendenza, rispetto a due mesi fa. E non rispetto a due, cinque o dieci anni fa.

«È accaduto tutto all’improvviso, gli effetti del Covid sono così dirompenti sulla società che possono essere paragonati a quanto successo negli anni Ottanta, epoca in cui avviene la vera informatizzazione del mondo e l’entrata in massa del computer e di tutta l’elettronica di consumo nelle nostre case. Il futuro è collassato all’indietro e si è fatto presente» premette Massimo Curcio, associate partner di Kpmg e autore della ricerca “Social distancing and new Retail Experience models”, con cui la società di analisi e consulenza alle imprese delinea un nuovo sistema di connessione tra clienti e brand, all’interno del quale il consumatore diventa “omnicustomer”: può essere ovunque nelle sue scelte di acquisto.

Canale fisico e digitale
«Alla luce di questi cambiamenti, il cliente ha acquisito familiarità tanto con il canale fisico quanto con quello digitale, da qui il termine omnicustomer. Questo è accaduto per la scoperta dei canali digitali come nuovi strumenti di connessione con il brand, sui quali il cliente vuole investire del tempo, anche con un atteggiamento esplorativo. Per questo motivo, dal Covid il consumatore uscirà con nuove capacità e cercherà un’esperienza di acquisto ibridata e personalizzata con il brand perché i confini tra fisico e digitale non ci saranno più. Le aziende devono prendere piena conoscenza e consapevolezza di questa rivoluzione» spiega Curcio.
La ricerca di Kpmg conferma che le nuove abitudini dei consumatori, conseguenti alle misure di lockdown, hanno spostato la domanda verso i canali online ed hanno determinato un’inversione di ruoli dei due canali. Solo nel mese di marzo il 75% delle persone che hanno acquistato sulla rete lo ha fatto per la prima volta nella propria vita. Sempre nel mese di marzo, il ricorso al canale digitale ha sperimentato una crescita senza precedenti: nel segmento Gdo, la percentuale di acquisti effettuati tramite e-commerce rispetto al totale è passata dall’1% al 5% e in un mese si è registrato un incremento che era atteso per i prossimi 5 anni.

Realtà virtuale e aumentata
«Niente sarà più come prima, siamo di fronte ad un cambiamento irreversibile da parte dei clienti, la cui abitudine ad effettuare acquisti online, superando le rigidità e i timori iniziali, può tradursi in un comportamento “normale”, assumendo il carattere di routine. Le aziende dovranno obbligatoriamente rafforzare la propria presenza sui canali digitali e ottimizzare l’esperienza vissuta dai clienti». Nel nuovo scenario che si profila, riporta la ricerca, sarà necessario innovare i canali online per migliorare l’esperienza di acquisto, attraverso tecnologie quali realtà aumentata e realtà virtuale per coinvolgere il cliente e progettare customer journey completamente digitali.
«Oggi, il termine omnichannel non è più attuale. Siamo entrati nell’era optichannel, diversificazione e integrazione dei canali di vendita, con i quali i retailer devono rispondere in tempo reale alle richieste dell’omnicustomer, cioè del nuovo consumatore, che una volta decide di andare in negozio, un’altra volta di comprare online oppure di ricevere i suoi acquisti a casa. Per quanto riguarda la Gdo, nel breve-medio periodo ci sarà una prossimità 2.0, con un revamping dei punti vendita di vicinanza, che assumeranno una nuova stagione di centralità. A differenza degli ipermercati, i quali già avevano una difficoltà strutturale prima del Covid, ora verrà amplificata. In ogni caso, la scelta dei brand a cui rivolgersi sarà sempre più guidata dal trust».

Rapporto di fiducia
Per conquistarsi il rapporto di fiducia, e consolidarlo nel tempo, i retailer dovranno essere bravi a gestire la customer journey all’interno degli store, attivare nuove funzionalità tramite app e sito web per la prenotazione automatica della visita in negozio; fornire dispositivi di protezione quali guanti e gel disinfettante; ottimizzare il layout dei punti vendita, sfruttando gli Analytics per garantire il distanziamento sociale e proteggere i clienti. Anche nel post-vendita sarà necessario adottare strumenti di raccolta della voice of customer, il sentimento del consumatore, per rilevare eventuali elementi di criticità: «La sicurezza diventa in ogni caso il fattore decisivo» puntualizza Curcio.
Per gli acquisti online, i brand dovranno invece focalizzarsi su “dinamiche conversazionali” e sull’“assistenza proattiva dei clienti” per aiutare la navigazione (attraverso chat/chatbot), su sistemi automatizzati per ottimizzare il visual merchandising e sul miglioramento delle supply chain capabilities (le capacità di ottimizzare la catena logistica di approvvigionamento), per sostenere regolari processi di order fulfillment (evasione degli ordini) su larga scala, anche valorizzando forme alternative all’home delivery come le soluzioni click & collect e store-to-home.
Su un punto, Curcio vuole lanciare un suggerimento al mondo dei retailer: la conoscenza del cliente. «Ancora oggi c’è uno stato di arretratezza importante che va colmato in termini di investimento in nuove tecnologie per trasformare il consumatore in un soggetto proattivo. Questo significa superare il vecchio concetto di Crm, customer relationship management, che deve evolvere in Cpm, customer partnership management: le scelte di un cliente saranno guidate dal trust, dalla personalizzazione, con le forme di interazione e di scambio commerciale con il brand, pago denaro per ricevere prodotti e servizi specifici quando voglio e in un determinato momento».

Fonte: repubblica.it

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