Confindustria Moda chiede sospensione affitti

Con i negozi chiusi, gli incassi mancano. A fronte dell’onda d’urto provocata dall’emergenza sanitaria, il mondo della moda scrive ai locatori di spazi dedicati ad aziende del tessile, moda e accessorio per invitarli a sospendere la richiesta di pagamento del canone. La lettera arriva dal presidente di Confindustria Moda, Claudio Marenzi, ma è firmata da oltre 50 aziende tra le più importanti sistema italiano. Tra di loro, Casadei, Corneliani, Dainese, F.lli Rossetti, Gallo, Calzedonia, Herno, Moncler, Roberto Cavalli, Ferragamo, Trussardi e Valentino.

“La drammatica situazione che stiamo vivendo a causa della diffusione del virus Covid-19 è nota, sta colpendo e colpirà nei prossimi mesi tutti gli ingranaggi della filiera”, si legge nella missiva. “Il timore, purtroppo concreto e supportato dalle quotidiane notizie”, prosegue Marenzi a nome del settore, è che la riapertura venga ulteriormente posticipata rispetto al termine del 3 aprile attualmente in vigore e che “conseguentemente le aziende che rappresentiamo continuino a non vendere, dovendo comunque versare l’intero canone di locazione”, divenuto, alla luce di queste circostanze, eccessivamente oneroso e non più sostenibile.

Per questo motivo, “per la salvaguardia dell’intero settore, nonché in applicazione del principio di buona fede contrattuale”, è richiesta “la collaborazione e la comprensione di tutti i locatori” nell’accogliere la richiesta di “sospendere la corresponsione dei canoni sino alla riapertura dei negozi e mostrare disponibilità a rinegoziare le condizioni economiche dei contratti di locazione e affitto fino a quando i normali flussi commerciali, turistici e residenziali non si saranno del tutto ristabiliti”.

Confindustria Moda raggruppa le imprese associate a Sistema Moda Italia (Smi), Assocalzaturifici, Assopellettieri, Associazione Italiana Pellicceria (Aip), Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici (Anfao), Federorafi e Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic) e rappresenta circa 66mila imprese del Made in Italy, che generano un fatturato di 95,5 miliardi di euro e che danno lavoro a oltre 580mila lavoratori.

Anche Stefano Beraldo è sceso in campo per richiamare la classe politica italiana alle proprie responsabilità. Nella lettera inviata al Governo, l’amministratore delegato di Ovs evidenzia la grave situazione in cui versano grandi e piccole realtà prevalentemente italiane attive nel settore del commercio di abbigliamento e accessori. Ciononostante, a oggi non sono state inserite tra le filiere o i settori meritevoli di particolare tutela all’interno del Decreto ‘Cura Italia’. “Hanno infatti visto azzerarsi gli incassi per l’obbligo di chiusura – scrive Beraldo – ma mentre alberghi, ristoranti e bar potranno sospendere gli acquisti di materie prime cristallizzando la loro situazione, le nostre realtà non potranno bloccare la maggiore voce di costo, ossia gli acquisti o la manifattura dei prodotti per la stagione primavera-estate”. La conseguenza è “una condizione di totale squilibrio finanziario. Anche sospendendo molti pagamenti, la scadenza delle lettere di credito relative alle merci prodotte e acquistate non può essere fronteggiata da alcuna fonte di incasso”.

La richiesta riguarda innanzi tutto l’inserimento del comparto “all’interno delle filiere in crisi, con le medesime disposizioni di tutela” e lo slittamento dei versamenti fiscali e contributivi da maggio ad almeno settembre. Inoltre, si sollecita la rimozione di “una anomalia grave del sistema impositivo che ci penalizza enormemente e in modo ingiusto, ossia il pagamento dell’iva in dogana. Nei mesi scorsi e nei prossimi le aziende del nostro settore hanno versato e verseranno iva su merci che non sono state e non saranno vendute. Occorre sospendere immediatamente questo meccanismo, che in tempi normali funziona bene, ma che in quelli attuali è perverso”, aggiunge il manager.

Infine, è ritenuto necessario uno slittamento verso fine anno di tutte le scadenze fiscali e contributive, oltre a un periodo di grazia fino a settembre, “per evitare che azioni esecutive senza speranza portino a una catena di fallimenti, che non andrebbe a vantaggio di nessuno, tantomeno dello stesso creditore”.

Fonte: pambianconews.com

 

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