Sostenibilità nell’eCommerce: “Nei prossimi anni le aziende non sostenibili perderanno valore”

La sostenibilità per il retail è diventata ormai imprescindibile. Le aziende della distribuzione che non ne faranno priorità strategica rischieranno di perdere competitività o, addirittura, di fallire. Ne è convinto Fausto Caprini, CEO di Retex, società impegnata nell’innovazione nel retail, che sostiene da tempo l’importanza di un’economia sostenibile, attenta alle risorse ambientali e alla riduzione degli sprechi. Non tanto, o non solo, perché si tratta di comportamenti etici, ma perché la richiesta di sostenibilità da parte dei consumatori è un trend non più ignorabile, che le aziende dovranno saper valutare e accogliere.

Eppure, si parla di sostenibilità dalla fine degli anni Novanta. Perché tutta questa attenzione proprio ora?

Diciamoci la verità: per molto tempo è stata vista come una tassa. Il report di sostenibilità delle aziende si traduceva in un patinato documento di fine anno che, in ultima analisi, era marketing. Oggi, invece, la responsabilità sociale diventa un elemento strategico tale da cambiare anche i criteri delle nomine in azienda. Quest’anno, per esempio, H&M ha designato al ruolo di CEO Helena Helmersson che, nell’azienda svedese, nei precedenti dieci anni aveva ricoperto proprio il ruolo di CSR Manager.

Che cosa significa, in concreto, sostenibilità nell’eCommerce?

Aggiungere una riflessione più consapevole sul tema, quando disegniamo nuove customer experience e nuove promesse di servizio.

Non è sempre sostenibile pretendere la consegna di un qualsiasi prodotto entro 24/48 ore dall’ordine senza considerare l’impatto ambientale o quello sociale della “guerra delle consegne”. “Se voi conosceste che cosa c’è dietro la supply chain e le persone che si occupano del vostro ordine, potreste cambiare idea rispetto a ciò che è necessario che vi arrivi in 48 ore e ciò che lo è meno”. Sa chi lo ha detto? Un dirigente di un grande sindacato degli autotrasportatori degli Stati Uniti e del Canada, Iain Gold. Per la precisione, si tratta del Direttore della Ricerca strategica e delle campagne di International Brotherhood of Teamsters. È significativo che proprio un esponente del mondo della supply chain faccia notare le conseguenze di un approccio troppo semplicistico al tema dell’eCommerce.

L’ultimo spot di Amazon recita “prezzi bassi, quando e dove vuoi”, è una promessa di servizio molto forte, che porta con sé una grande responsabilità. È forse alla portata di un gigante, ma non così semplice per gli altri.

Quali problemi di sostenibilità pone il mondo delle consegne?

Prendiamo ad esempio il tema del cosiddetto “over-boxing”: in parole povere, ci sono troppi imballi in giro. Negli Stati Uniti vengono spediti, ogni anno, 165 miliardi di pacchi, una quantità di cartone che equivale a oltre un miliardo di alberi. Secondo The Guardian, gli imballaggi dei prodotti consegnati a domicilio costituiscono ad oggi il 30% dei rifiuti solidi in USA. Pensiamo agli imballaggi utilizzati nel grocery: Walmart si pone l’obiettivo di eliminare entro il 2030 un miliardo di tonnellate di imballaggi. Se aggiungiamo le emissioni di CO2 necessarie per consegnare le merci, possiamo capire perché anche un gigante come Amazon abbia deciso di avviare riflessioni molto serie sulla sostenibilità del modello.

Quanto è sostenibile l’eCommerce dell’abbigliamento?

Il discorso può essere molto articolato: consideriamo ad esempio il fenomeno più rilevante degli ultimi dieci anni, il fast fashion. Molti s’interrogano sulla sostenibilità di una produzione così bulimica, richiesta da un modello estremizzato di rotazione dell’assortimento e che genera enormi quantità di scarti (senza dimenticare il fenomeno delle microplastiche disperse nell’ambiente nei cicli di lavaggio di quei prodotti). Oppure, ancora, pensiamo al fenomeno dei resi: le quote dei resi dell’eCommerce nell’abbigliamento sono enormi e generano un altissimo impatto ambientale (trasporti, aerei eccetera) veramente rilevante. A onor del vero, non sono temi sensibili solo per il mondo dell’abbigliamento ma anche per altri segmenti.

Ad esempio?

Guardiamo al food delivery: quello che paghiamo per avere cibo a casa in pochi minuti spesso non è sufficiente a sostenere economicamente l’operatore della ristorazione, e non è socialmente sostenibile per remunerare correttamente i cosiddetti rider. Giusto per fare un esempio, da un’inchiesta giornalistica è emerso che, nella cintura parigina, esiste un evidente problema di rispetto dei diritti: i rider subappaltano ai clandestini. Ne va della dignità di chi lavora ma, anche, della sicurezza dei lavoratori e di quella dei clienti. È, a mio parere, una degenerazione della gig economy. E non riguarda solo i lavoratori delle consegne a domicilio: negli Stati Uniti i piloti di aereo hanno protestato perché costretti a volare in situazioni di estremo rischio al solo scopo di rispettare i tempi delle consegne.

Che cosa fare allora? Non si può certo chiudere totalmente i business emergenti né tantomeno quelli con andamento positivo…

Bisogna prendere atto che certi modelli richiedono ripensamenti e ottimizzazioni in chiave di sostenibilità. Questo tema deve diventare una priorità nell’agenda di ogni executive del settore, alla pari dei classici indicatori di performance come l’EBITDA o la performance finanziaria. Ripensare la strategia integrando chiare iniziative in questo senso diventa oggi irrimandabile. Occorre essere trasparenti con i clienti chiarendo bene quale è il bilancio di sostenibilità di ogni nuovo servizio o proposta, e verificare continuamente l’aderenza a standard di sostenibilità più elevati tutte le relazioni con i vari stakeholder: collaboratori, comunità, tutti. Declinare ogni iniziativa di innovazione prestando la migliore attenzione al tema. Lo chiedono e lo chiederanno sempre di più i nostri clienti, se la responsabilità etica non fosse sufficiente.

Riconversione del business, riduzione dell’impatto ambientale, riuso delle risorse: sono tutte azioni che comportano investimenti significativi. Perché le aziende dovrebbero affrontare i costi della sostenibilità?

Non è solo un’esigenza di carattere etico, è anche qualcosa di grande rilevanza economica. Il mondo economico internazionale è andato in subbuglio per l’ultima lettera annuale inviata a clienti e società da Laurence D. Fink, presidente e CEO di Blackrock, la più grande società di investimento al mondo. Lettera in cui Fink si fa portabandiera della sostenibilità, sostenendo che le questioni ambientali e sociali saranno sempre più importanti per la valutazione di una società. Cito: “Man mano che un numero maggiore di investitori riconoscerà che il rischio climatico è un rischio di investimento, assisteremo a una profonda rivalutazione del rischio e dei valori degli asset. Siamo alle porte di una significativa riallocazione del capitale. In quanto fiduciario, la responsabilità è di aiutare i clienti a navigare in questa transizione. E, con l’aumentare dell’impatto della sostenibilità sui rendimenti degli investimenti, riteniamo che gli investimenti sostenibili costituiscano la base più solida per i portafogli dei clienti in futuro”.

E se lo dice il CEO di Blackrock…

Non è il solo. Anche i vertici di Credit Suisse, giusto per fare qualche nome, sono dell’opinione che gli aspetti meramente finanziari non siano più sufficienti per la valutazione di un’impresa. L’istituto bancario ritiene altrettanto importante verificarne la performance rispetto a specifici criteri ESG (sigla che sta per Environmental, Social and Governance) è un concetto che si sta affermando nel settore finanziario come base per giudicare la sostenibilità degli investimenti. Alexander Ricard, giovane presidente e CEO di Pernod Ricard, il gruppo francese di bevande alcoliche, è convinto che le aziende che puntano solo ai profitti siano destinate a morire. L’ex CEO di Unilever, Paul Polman, dopo aver promosso per anni la sostenibilità nella multinazionale, ha lanciato un’iniziativa, “Imagine”, per ridurre le problematiche dovute a cambiamento climatico, disuguaglianze e povertà.

Come declinate la sostenibilità in Retex?

Noi non produciamo beni di largo consumo, né consegniamo prodotti door to door. La nostra maggiore priorità è declinare in modo efficace il tema, a partire dalla più scrupolosa promozione dei valori di inclusività, rispetto dei diritti, responsabilità sociale. Nel progettare e realizzare ogni innovazione ci impegniamo a verificarne la coerenza con questi valori, dal disegno della customer experience all’introduzione di nuove modalità organizzative, dalla scelta dei prodotti hardware più efficienti allo sviluppo delle applicazioni. La sfida del lockdown, in questo senso, è stata una palestra per accelerare ulteriormente l’impegno sul tema. Ci sforziamo di immaginare, ogni giorno, come le nuove tecnologie possano aiutare noi e i nostri clienti a trasformare gli attuali modelli operativi.

Che cosa fare in concreto per essere sostenibili senza finire in una spirale economica depressiva?

Abbiamo a disposizione un enorme bagaglio di tecnologia che può essere il motore di questa trasformazione: dall’uso dei dati all’intelligenza artificiale, dalla blockchain al riconoscimento della voce e altro ancora. Abbiamo a disposizione anche mezzi finanziari straordinari, grazie al grande sforzo che gli Stati stanno producendo per contrastare gli effetti della pandemia. Occorre focalizzare le nostre migliori risorse a immaginare le forme del nuovo modo di fare business sostenibile e responsabile. Non è un rischio, è una grande opportunità.

John Childress, noto Executive Advisor del retail, ha detto: “Se volete un’attività di successo quest’anno tagliate i posti, se la volete nei prossimi dieci anni innovate, se volete che duri ancora più a lungo investite nella creazione di valore sociale”. E noi ne siamo pienamente convinti.

Fonte: economyup.it

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