Sharka, iGenius: «L’Europa sta accelerando: può diventare il futuro dell’intelligenza artificiale»

«L’America innova, la Cina copia, l’Europa regolamenta. Nel mondo della tecnologia lo senti dire di continuo e c’è del vero. Ma è una foto statica. Le cose cambiano rapidamente: fra tre anni la Cina non avrà più bisogno di copiare e la straordinaria accelerazione delle capacità computazionali offerta dai nuovi microprocessori darà all’Europa, già dal prossimo anno, l’occasione per recuperare terreno». Fondatore di iGenius, la prima unicorn italiana (start up che supera il valore di un miliardo di dollari), l’imprenditore milanese di origine albanese Uljan Sharka ha appena concluso un accordo con Nvidia per realizzare in Italia il supercomputer Colosseum, operativo da metà del 2025. Sarà, spiega, la «fabbrica di intelligenza artificiale» più potente d’Europa grazie ai nuovi chip Blackwell.

Perché la scelta dell’Italia meridionale per un data center così ambizioso? E cosa può significare in concreto?
«Al Sud abbiamo trovato condizioni favorevoli, tra le quali una disponibilità di energia prodotta da fonti rinnovabili in eccesso rispetto alle esigenze delle imprese locali. In concreto coi nuovi processori il balzo in avanti è impressionate: 30 volte più potenti di quelli attuali, con un consumo di energia 25 volte più basso. Entriamo in un mondo difficile da rendere a parole: 115 miliardi di calcoli al secondo, circa cento volte la potenza del computer europeo oggi più performante. In concreto: con Colosseum iGenius potrà realizzare applicazioni molto avanzate di AI nei settori regolamentati che richiedono la massima affidabilità e precisione, dalla sanità alla pubblica amministrazione. Samo alla vigilia di un vero cambio di paradigma».

In genere consideriamo l’America irraggiungibile nel digitale: ha vantaggi incolmabili per capacità di innovare, dimensioni dei giganti di big tech, talenti. E risorse finanziarie senza limiti. Secondo lei, invece, l’Europa può tornare protagonista nonostante altri handicap oltre a quello tecnologico: dall’alto costo dell’energia alla frammentazione politica, culturale, linguistica. Come può farcela?
«Gli Stati Uniti oggi dominano, ma in tecnologia le cose possono cambiare rapidamente, soprattutto nei momenti di svolta radicale. E noi siamo all’inizio del terzo ciclo dell’economia digitale dopo quello degli anni Ottanta e quello iniziato nel 2000. ChatGPT è stata solo la punta dell’iceberg. OpenAI potrebbe anche essere come l’Olivetti di quel primo ciclo, visto che sta pagando le spese di ricerca per tutto il mercato. Con gli altri big che inseguono e copiano. Allora Olivetti venne fuori col suo rivoluzionario computer. Lo vendette, mi pare, in 40 mila pezzi. Poi arrivò Hewlett Packard (Hp) con una potenza industriale e finanziaria molto maggiore che realizzò rapidamente una copia del Programma 101: un computer che costava meno e più performante. È un po’ quello che stanno facendo Google, Microsoft e anche Amazon, che ha appena annunciato un modello di AI in competizione con OpenAI. Ma questo è ancora il secondo livello. 40 anni fa il terzo fu quello di Apple che arrivò dopo Hp e consolidò il mercato imponendo la sua qualità e il suo stile. Ora l’Europa può tentare di diventare la Apple della nuova generazione».

Obiettivo molto ambizioso per una realtà così frammentata, oltre che arretrata.
«Credo che anche stavolta negli Usa ci sarà una fase di consolidamento. Ma sarà poco efficiente perché basata su una rincorsa. Credo che allora l’Europa, sfruttando anche gli spazi offerti dall’accelerazione tecnologica, possa pianificare un’alternativa di lungo periodo sfruttando le sue caratteristiche anche politiche e culturali, a partire dalla sua capacità di regolamentazione. Così come Apple ha costruito il successo sul design, l’Europa può sviluppare un modello alternativo, non necessariamente migliore, ma con una sua attrattiva perché basato sulla fiducia: un fattore che diventa sempre più importante. L’utente può scegliere un modello europeo perché meglio regolamentato, più protetto: garanzie di affidabilità che possono compensare anche qualche ritardo. Senza dimenticare la forza del mercato europeo: dei 1.250 miliardi di dollari di spesa per AI da qui al 2030, il 35% verrà dal nostro continente. Con una buona collaborazione tra imprese private e settore pubblico ci sarebbe lo spazio per creare, nei prossimi 20 anni, 4-5 aziende da oltre mille miliardi di capitalizzazione».

In un’Europa mosaico di Paesi e di aziende, con incroci di lingue e culture diverse, chi può federare spingendo verso questo traguardo?
«Personalmente ritengo che, data la velocità di evoluzione della tecnologia, non possano essere governi nazionali o la Commissione europea a svolgere questa missione: servono attori privati che si aggregano per creare un ecosistema. Certo ci vogliono scintille per attivare simili meccanismi. È quello che cerchiamo di fare noi ora: dimostrare che è possibile essere ambiziosi. E fin dalle prime ore dopo l’annuncio di Colosseum siamo stati contattati da aziende che non avevamo mai creduto di poter incontrare».

Tutto senza il sostegno finanziario dello Stato.
«Il sostegno pubblico serve ma non coi sussidi. Quando la pubblica amministrazione offre contributi a fondo perduto io rispondo che preferisco avere a che fare con uno Stato che si digitalizza e che compra i nostri prodotti».

La francese Mistral può essere un modello?
«No, e proprio per questo motivo: non è nata da una logica di mercato. È una storia forzata politicamente dal governo di Parigi che voleva un campione nazionale. L’Italia fa bene a non seguire questa strada che porta alla creazione di aziende artificiali. Mistral continua a cambiare modello di business perché è nata da un’illusione del governo: assumere ingegneri delle big tech americane e poi tentare un “copia e incolla” di OpenAI, pensando di poter operare come nella Silicon Valley. Non funziona così: in Europa non puoi sperare di avere le stesse condizioni di sviluppo degli Stati Uniti. Devi trovare una tua strada: sai che soffrirai più di loro e devi darti un piano di sopravvivenza diverso da quello di una start-up californiana. È quello che stiamo facendo noi, ma anche altri in Europa come la tedesca Aleph Alpha, attiva nei sistemi per settori regolamentati».

Cosa si intende con questa espressione?
«Significa creare sistemi di software e hardware totalmente autonomi e controllati dall’organizzazione in modo da consentire ai settori che devono seguire regole precise – sanità, difesa, finanza, governo – di non dover dipendere da attori stranieri. Quindi c’è un tema di controllo dell’intelligenza e uno di regole, di come costruisci i modelli: puoi andare su Internet e mettere dentro tutto senza guardare a provenienza e qualità. O puoi prendere i dati e pulirli. Noi, ad esempio, facciamo una pulizia estrema dei dati che immettiamo nei sistemi. Per dare al cliente un sistema più affidabile e nel suo pieno controllo».

Lei sostiene che la frammentazione dell’Europa fra lingue e culture diverse, fin qui un elemento di debolezza, diventerà un elemento di forza. Come?
«Mentre modelli di traduzione automatica sempre più sofisticati e capaci di interpretare il contesto stanno risolvendo i problemi di comprensione, il mix di culture e lingue diverse si sposa con le esigenze dell’AI che può svilupparsi solo se alimentata da una grande varietà di dati. E’ per questo che si dice che se provi ad addestrare i modelli con dati sintetici, creati in laboratorio, per sopperire all’esaurimento di quelli disponibili su internet, non crei intelligenza: sono piatti, scritti in una sola lingua e con contenuti banali, mentre la creatività e la frammentazione creano una diversità che si traduce in maggiore intelligenza. Se l’Europa capisce che può trarre un vantaggio da questa diversità e la unisce al suo approccio di rispetto dei diritti umani, in linea con la regolamentazione che ha avviato con l’AI Act, può creare un’AI migliore, un’intelligenza della quale ti puoi fidare. E questo può diventare un brand come quelli che già abbiamo in Europa per la qualità del cibo o per alcuni settori industriali come l’auto, considerata più sicura da guidare rispetto alle vetture americane. In un mercato libero il consumatore potrà decidere se preferisce la forza del sistema americano o l’ecosistema europeo, magari meno potente ma più affidabile e controllabile».

Fonte: corriere.it

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